A quel punto le lacrime si confondevano e amalgamavano con il bagnato della mia pelle. Le sentivo scivolare giù sul viso, intriso di un liquido che ora avrei difficoltà a chiamare sudore. Era come un qualcosa di umido, pastoso, quasi viscoso. Come una membrana mi ricopriva il volto e scendeva sul collo, avvolgeva le mie braccia che vedevo brillare lucide alla fioca luce della sala. Le mie gambe ne erano intrise. Un calore umido e compatto avvolgeva tutto il mio corpo. Una sensazione di nutrimento e di fluidità mi invadeva. Una sensazione di definizione, come se sentissi che tutta la materia all’interno di questa membrana fossi io, costituisse il mio “me”. Rimasi immobile a respirare dentro questa sensazione nuova, dentro questa umidità vitale. Sentii il corpo tremare, vibrava in quella calma compatta. Ero sbucata dall’altra parte, dall’altra parte di quel tunnel, dal lato opposto da dove tutto era cominciato. Lì la vita non aveva lo stesso sapore. Lì c’era un’energia diversa. All’improvviso non c’era nulla. Un’improvvisa gioia. Non c’era il bisogno di altro né c’era dell’altro. Uno spazio pieno di nulla era palpabile dentro e fuori di me e mi faceva sentire bene.
Mi ero offerta prontamente di lavorare con Rosanna, anzi avevo sentito una vera chiamata a partecipare al suo seminario su Focusing e Voce. Non esitai, nessun altro si era alzato come volontario e questo mi aveva reso più felice, non stavo togliendo nulla a nessuno. La paura di occupare spazio, e spazi non miei, si era incredibilmente messa da parte questa volta ed aveva lasciato che accadesse ciò che poteva accadere. Mi sedetti su quella sedia, trovai facilmente la mia posizione comoda perché ero già comoda con tutto quello che stava per succedere. I colori vivaci e le forme rotonde del corpo di Rosanna mi abbracciavano facendomi sentire a casa. Mi fidavo. La sentivo intensa, spaziosa. Il colore della sua pelle mi diceva che era già stata lì dove io sentivo di voler andare. Il suo sguardo mi raccontava storie di quei mondi. La sua voce mi istruiva sulla leggerezza della paura che avrei incontrato.
Appena presi contatto con il mio corpo, una sensazione nella pancia si fece subito sentire. Uno spazio a forma di luna che si apriva con una fessura in alto rappresentò il primo felt sense, la prima sensazione corporea significativa. Rosanna mi invitò a lasciar affiorare da questo spazio un suono, lo cercai ma nulla emerse. Cosi, per superare la difficoltà di quel momento, decisi di produrne uno. Fu sempre frutto di una decisione spingere questo suono dentro quella fessura. Immensa fu la sorpresa al sentirla pian piano schiudere. Un varco si stava aprendo e mi lasciava scivolare al suo interno. Con un tonfo mi ritrovai dentro e lo dissi “ora sono dentro”. In quel momento ero consapevole di viaggiare ancora tra due mondi, il mentale e il corporeo. Mi godetti quella strana sensazione di sentirmi all’interno di me. Era come se io, me, una parte di me, fosse caduta dentro di me e da lì si muoveva e vibrava. Questa piccola particella di me che all’inizio potevo ancora controllare e guidare all’interno di quello spazio, iniziò pian piano a farsi sempre più grande e ad occupare tutto l’interno del mio ventre. Sentivo che si espandeva verso il pube, spingendo con la forza del suono verso il basso come a conquistare nuove terre. Ricordo benissimo la sensazione di allargamento prima ancora che di espansione. Era come se consapevolmente dirigendo il suono verso una parte e poi l’altra delle viscere, queste si allargassero creando uno spazio più grande. Questa sensazione di fiducia e rilassatezza trovò una barriera improvvisa. Terminato lo spazio fisico corporeo dove espandersi si trovò disorientata. Ora cosa? Ora dove? Sentii all’improvviso il mio respiro spezzarsi e farsi sempre più rado, stavo entrando in apnea. Un senso di ansia, di paura, di disconnessione si impossessò del mio corpo. Poi all’improvviso un qualcosa di scuro, nero, stretto, un sentiero impenetrabile ed impenetrato si manifestò davanti a me. Feci una pausa, consapevole, come a racimolare tutte le mie forze per avviarmi lentamente all’esplorazione. Un’amara sorpresa mi venne incontro. La mia voce era spezzata, nessun suono usciva dal mio corpo. Chiesi aiuto alla mente, che spavalda offrì varie soluzioni. Respira, prendi fiato, spingi dalla pancia, cambia ottava. Penso che in un millesimo di secondo devo averle provate tutte. Nessuna sembrava funzionare. Un suono stridulo e stonato tentava con immenso sforzo di rompere quella barriera. Un inaspettato senso di vergogna mi invase e pervase il mio corpo. Vampate di calore e di colore si muovevano lungo la mia spina dorsale fino a sentirle manifestare in modo che ormai giudicavo evidente, certamente troppo evidente, sul mio volto. Annaspavo. Un senso di disperazione, di sconfitta sconquassò il mio essere in quel momento. Come l’eroe che dopo un lungo e faticoso cammino arriva davanti alla porta del nuovo regno e lì si rende conto di non conoscere la giusta parola magica: nessun abradacabra sembra funzionare.
All’improvviso, credo per la prima volta, presi coscienza di essere seduta su una sedia, in una sala, circondata da varie persone, a respirare ed emettere suoni, ed ora nemmeno più quello. Mi sentii sprofondare. La sensazione di aver tradito le aspettative della platea ed un imbarazzante senso di esposizione emersero prepotenti dal mio corpo. Al fin dei conti stavo esponendo tutto di me, tutta me fuori e tutta me dentro, e in quel momento sembrava quasi che il gioco non ne stesse valendo la candela. Chi avevo pensato di essere, cosa avevo pensato di voler o poter fare? Mi riconnetto ora con l’intenzione iniziale e la ricordo chiara, non era e non era mai stata quella di farmi notare. La forza che mi aveva guidato era stata piuttosto la forza della disperazione e la voglia di incontrare un altro pezzo di me. In quel momento di panico in cui nausea e vertigini facevano vorticare infiniti pensieri nella mia mente, tra questi uno mi salvò: il pensiero di averlo fatto per me, per amore di me stessa. La consapevolezza poi che questo era comunque stato e ahimè continuava ad essere un atto di coraggio, riportò la pressione sanguinea a livelli più fisiologicamente favorevoli. Calmata la mente, accolta anche questa sconfitta, rimasi per qualche lungo minuto, forse secondo, con tutto quello che c’era, ed era tanto. Il nero del tunnel aveva ormai avvolto tutta la sala. Discernevo un’assenza totale di luce e di suoni. Tra tanta assenza, accolsi con gioia l’assenza di quella disperazione. Mi permisi di respirare, il mio corpo era con me e con questo respiro mi ricordò che non ero sola. In quell’oscurità, in quel nulla, in quello spazio senza alcun orientamento lui era lì con me. Lo sentivo. Come un naufrago che si aggrappa all’unica tavoletta di legno in mezzo al mare non curante ormai del terrore della profondità, io mi aggrappai a quel mio corpo ed un senso profondo di commozione, di profonda e infinita commozione mi smosse da dentro. Ero viva. Iniziai a piangere. Da quel pianto un suono, un fievole suono, rotto ma autentico, sottile ma vero emerse dal mio corpo. Come un raggio laser sentii che questa vibrazione penetrava quel tunnel che fino ad un momento prima sembrava compatto nella sua resistenza ed inaccessibilità. Vidi un sottilissimo filo di luce che dal mio mondo, dal mio aldiquà correva direttamente verso un misterioso aldilà. All’improvviso, ed a questo ricordo ancora mi viene la pelle d’oca, una voce, una voce da quell’aldilà mi richiama prima e risucchia poi all’interno di questo tunnel. Cerco di chiedere aiuto alla mia mente per decifrare cosa dice, o per capire cosa stesse accadendo. Non faccio in tempo, è chiaro che è un grido di dolore. Un dolore che mi arriva dritto all’anima e mi trafigge. Un dolore che mi appartiene, ma non solo a me, un dolore che appartiene a tutto il femminile. Porto le mani al viso e mi sento piangere dentro. Un pianto che aveva la qualità di un sottile filo d’acciaio, fino ed indistruttibile allo stesso tempo. Era chiaro per me che qualsiasi cosa avessi fatto o voluto, quella voce che correva su quel filo non mi avrebbe più lasciato. Si era agganciata a me, pescandomi nel mare dell’universo. A questo punto la mia o la sua voce, poco importa, si apre un varco più grande. Si squarcia un passaggio all’interno del tunnel che ormai ha acquisito sembianze di un organismo vivente le cui pareti si allargano per permettere a questo suono di passare. Una voce diversa, un suono a me totalmente sconosciuto e incontrollabile esce ed entra dal mio ventre pervadendo tutto il mio corpo e la sala. Ottave differenti si modulano e si intrecciano come onde ed amplificano questa sensazione di luce e di espansione, chiaramente un qualcosa che non potevo né volevo controllare. Un caleidoscopio di suoni e colori si imprime sulla mia pelle aiutato da un liquido viscoso che ormai copiosamente fuoriesce da tutti i miei pori e lava il mio corpo. Mi sorprendo e allo stesso tempo provo pudore nel riconoscere una strabordante bellezza e sensualità irradiare da tutta me stessa e toccare sensorialmente le persone presenti. Alcune delle loro testimonianze e gli occhi incontrati al mio ritorno in sala mi confermarono che questa esperienza aveva diffuso registri armonici che avevano raggiunto molti. In quel momento così intimo e delicato incontrai volentieri le mani di Rosanna su cui altrettanto volentieri appoggiai delicatamente le mie, pervase da un lieve ma consistente tremore. Rosanna lo sentì e mi disse “ci sono, non puoi cadere”. Mi abbandonai totalmente, lasciai andare tutto. Un senso di vulnerabilità ora mi proteggeva. Colta di sorpresa da questo aspetto rifletto se non è forse da questa vulnerabilità che sente di poter emergere la mia sensualità. Forse è dal coraggio di cadere e non nascondermi che emana come un aroma questa mia sensualità.
Il feedback di M. un ragazzo presente in sala confermò questa mia esperienza. Confermò che questo aroma era palpabile e reale, ed era attivo. Questo aroma del femminile vulnerabile ma strabordante, aveva agito sul maschile risvegliandolo. Il maschile, scoprii con gratitudine, aveva accompagnato questa mia esperienza. Era stato accanto a me, dentro di me. Si era espanso e si era spaventato anche lui davanti a quella barriera. Sicuramente la sua energia mi deve aver supportato nel momento in cui sono caduta in ginocchio sconfitta davanti a quella parete insormontabile. Là davanti a quella parete c’era la sconfitta di entrambi. Una vera cosmogonia sembrava aveva preso vita dentro di me: la fecondazione, la gestazione, il parto. Ho avuto il privilegio di mettere il mio corpo e la mia energia a disposizione di questa opera alchemica di trasformazione. Ed io trasformata ora mi sento, rinata, con il volto trasfigurato da una luce che emana da dentro, una luce che viene riflessa da quella membrana umida che ancora mi sento addosso. Mi hanno detto, e io stessa ho sentito, di avermi vista seduta intorno al fuoco intonando canti di protezione con altre donne Sioux, mi hanno visto vagare nelle steppe della Mongolia, mi hanno riconosciuto come Shakti nella valle dell’Indo. Un frammento dell’essenza cristica di Maria Maddalena hanno visto manifestato in me. Ed io sento ora come se tutte queste esperienze mi fossero state tatuate sul corpo come una mappa di costellazioni, affinché la mia anima si orienti e non dimentichi cosa sia venuta a fare anche in questa reincarnazione.
Manuela Caputi Abano agosto 2019 workshop Focusing Voice con Rosanna Camerlingo